Negli ultimi giorni si sono susseguite le diverse bozze del D.L. Semplificazioni 2020, in corso di approvazione e finalizzato ad incidere, tra gli altri, sui procedimenti amministrativi per sostenere la diffusione dell’amministrazione digitale.
L’articolo 18 del D.L. in corso di approvazione, infatti, esplicita l’intento di semplificare la burocrazia amministrativa per rendere “l’effettivo esercizio del diritto all’uso delle tecnologie digitali”, incidendo su diverse normative procedimentali, dalla piattaforma per la notificazione digitale degli atti della pubblica amministrazione, alla conservazione dei documenti informatici, alla diffusione della firma digitale.
Il capo II del D.L. Semplificazioni si concentra, invece, sull’unificazione della strategia italiana per la digitalizzazione e per la cybersecurity e per concretizzare l’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni.
Se la strategia per la sicurezza delle reti non desta particolari perplessità, dovendosi, necessariamente, unificare a livello nazionale, quel che fa riflettere è la strategia del Governo per implementare le tecnologie emergenti nella pubblica amministrazione.
Al fine di conseguire l’uniformità della digitalizzazione amministrativa, notoriamente asimmetrica nelle diverse P.A. periferiche, il D.L. Semplificazioni prevede l’introduzione di un codice di condotta tecnologica che, stando al testo, dovrebbe essere adottato dal Capo Dipartimento della struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri competente per la trasformazione digitale, sentita l’AgID e il nucleo per la sicurezza cibernetica e acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del Decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della disposizione.
Stando al testo della norma, il fine di tale codice dovrebbe essere quello di disciplinare “le modalità di progettazione, sviluppo e implementazione dei progetti, sistemi e servizi digitali delle amministrazioni pubbliche, nel rispetto della disciplina in materia di perimetro nazionale di sicurezza cibernetica”. La violazione delle norme del suddetto codice implicherà l’irrogazione di sanzioni pecuniarie.
L’obiettivo dell’introduzione di un codice di condotta tecnologica è individuato nel “favorire la digitalizzazione della pubblica amministrazione e garantire il necessario coordinamento sul piano tecnico delle varie iniziative di innovazione tecnologica”.
Allo stato non è chiaro se detto codice di condotta si limiterà ad individuare i parametri tecnici minimi che devono essere rispettati per i servizi digitali delle Pubbliche Amministrazioni ovvero se individuerà specificatamente le tecnologie che dovranno essere adottate, con le specifiche tecniche.
In tale ultima ipotesi, una prima riflessione induce a domandarsi quanto una normativa possa adattarsi all’evoluzione della tecnologia. Basta pensare alle linee guida previste dal D.L. Semplificazioni 2019 che avrebbe dovuto adottare l’Agid entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge stessa, oltre un anno fa, per comprendere quanto sia lenta la legislazione, anche in presenza di termini ristretti.
D’altra parte, è noto che le tecnologie si sviluppino in tempi rapidissimi, soprattutto in confronto ai tempi necessari al legislatore per il perfezionamento dell’iter di formazione delle leggi. Nella prassi è diffuso l’utilizzo da parte del legislatore di normative regolamentari che individuano i parametri tecnici di tecnologie e servizi digitali esistenti ed in uso, al fine di armonizzare i servizi offerti. Diversa è l’ipotesi di una normativa che andrebbe ad individuare i requisiti tecnici di servizi non ancora esistenti, ossia una normativa che sia finalizzata a circoscrivere la tipologia di tecnologie utilizzabili per i servizi amministrativi, in quanto si tradurrebbe in una limitazione alla sperimentazione di nuove tecnologie che non rispecchino i parametri imposti.
Il rischio è che il codice stesso si traduca, ben presto, in un freno all’innovazione, più che un impulso all’unificazione tecnologica delle amministrazioni, senza una visione strategica che non può prescindere dalla adozione di una piattaforma nazionale per i servizi amministrativi.
Il rischio vuol essere contemperato dalla successiva norma che ha previsto talune misure di semplificazione amministrativa per lo sviluppo, la diffusione e l’impiego delle tecnologie emergenti e di iniziative di alto valore tecnologico, permettendo ad imprese, società, Università e centri di ricerca con caratteristiche di start up o spin off, di iniziare sperimentazioni attinenti alla digitalizzazione e all’innovazione tecnologica. A tal fine, il D.L. ha previsto che, in alternativa ai sistemi ordinari amministrativi, le iniziative potranno essere presentate alla struttura della Presidenza del Consiglio dei Ministri che valuterà le proposte.
Coordinando tale norma con quella succitata che ha introdotto il codice di condotta tecnologica, la sperimentazione attraverso il Governo, sembra essere, in realtà, una scelta obbligata per le tecnologie emergenti che non dovessero rientrare nei parametri imposti alle pubbliche amministrazioni.
Per quanto nobile e condivisibile sia l’intento della normativa di concretizzare l’obiettivo di unificare a livello nazionale la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, crea ovvie perplessità l’approccio, potenzialmente riduzionista, alle nuove tecnologie, con il rischio di addivenire ad una regolamentazione che difficilmente potrà evolversi alla stessa velocità delle tecnologie emergenti e che rischia di premiare solo la sperimentazione delle grandi società tecnologiche, a scapito delle piccole start up innovative che difficilmente potranno competere coi i grandi oligopoli.
Inoltre, la previsione di un canale centralizzato per le sperimentazioni, in luogo dei canali ordinari amministrativi, non necessariamente si tradurrà in una accelerazione degli iter burocratici.
Il ruolo dello Stato per l’innovazione tecnologica del Paese è fondamentale, in quanto funge da traino per il mercato. Per tale ragione, l’amministrazione dovrebbe essere spinta verso la realizzazione dell’open government, con l’implementazione della blockchain permissionless, che è la migliore soluzione per ridurre lo spazio tra Amministrazioni e cittadini, attuando, al contempo i principi di trasparenza, economicità e buona amministrazione, piuttosto che regolamentare l’approccio tecnologico con normative che, comunque, difficilmente potranno adattarsi all’evoluzione rapida delle nuove tecnologie, rischiando di tradursi, in pochi anni, in un freno alla digitalizzazione del Paese.
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