Con la sentenza n. 8241 del 28 aprile 2020, la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, prendendo spunto da una controversia insorta tra un utente ed una società di telecomunicazioni, ha delineato, con argomentazioni giuridicamente molto apprezzabili, le differenze tra l’improcedibilità e l’improponibilità della domanda giudiziale in caso di mancato avvio del procedimento di conciliazione.
La predetta sentenza è intervenuta a dirimere un grave contrasto giurisprudenziale che si è creato dopo l’introduzione delle procedure obbligatorie di conciliazione in materia di telecomunicazioni. Una parte della giurisprudenza aveva, infatti, ritenuto che il preventivo avvio della procedura obbligatoria di conciliazione rappresentasse una condizione di procedibilità della successiva azione giudiziale (sentenze della Cass. nn. 26913 del 24.10.2018 e 14103 del 27.06.2011), mentre altra parte della giurisprudenza aveva ritenuto che il preventivo avvio della mediazione costituisse una condizione di proponibilità dell’azione giudiziale (sentenze della Cass. nn 17480 del 2.09.2015 e 24334 del 30.09.2008).
Prima di esaminare le argomentazioni contenute della recente sentenza della Suprema Corte, è necessario precisare cosa si intende per improponibilità ed improcedibilità della domanda e quali sono i loro effetti nel caso in cui non venga preventivamente esperito il procedimento obbligatorio di conciliazione.
Nei testi normativi non si ritrova una distinzione concettuale netta e rigorosa tra le due suddette fattispecie processuali, con la conseguenza che è sorta una incertezza terminologica che, come detto, si riscontra principalmente nell’applicazione degli istituti della mediazione e conciliazione che sono stati introdotti dal legislatore con il chiaro scopo di agevolare le parti più deboli e di ridurre il contenzioso.
Orbene, secondo una parte della giurisprudenza il mancato avvio della procedura di conciliazione obbligatoria prima dell’inizio del giudizio rappresenta un vizio insanabile con conseguente dichiarazione di improponibilità della domanda (come nel caso dei contratti agrari). Tale dichiarazione fa venire meno ogni atto compiuto nel giudizio azionato, ma non impedisce la riproposizione della domanda dell’atto introduttivo di primo grado in quanto la chiusura del giudizio in rito non estingue il diritto di azione (fatta salva ogni eventuale prescrizione o decadenza).
Viceversa, secondo altra parte della giurisprudenza il mancato avvio della procedura di conciliazione obbligatoria prima dell’inizio del giudizio costituisce una condizione di improcedibilità della domanda (come nel caso della negoziazione assistita) che porterà ad un arresto del processo che, su impulso della parte interessata, potrà riprendere regolarmente il suo iter.
Nonostante la promiscuità e l’incertezza terminologica delle due fattispecie processuali, la Suprema Corte ha, pertanto, precisato quali sono le conseguenze associate all’una o all’altra qualificazione: “un vizio insanabile, rilevabile in ogni stato e grado del processo, tale da costituire una soluzione drastica, in considerazione degli interessi sostanziali in gioco, nel caso dell’improponibilità; un arresto momentaneo del giudizio, rilevabile dalle parti e anche dal giudice ma non oltre la prima udienza, nel caso della improcedibilità ed atto a non precludere lo svolgimento del giudizio”.
Dopo avere indicato gli effetti delle due figure processuali (molto gravi nel caso della improponibilità e meno gravi nel caso della improcedibilità), la Suprema Corte stabilisce, in maniera netta, che il mancato esperimento della procedura obbligatoria di conciliazione in materia di telecomunicazioni è una condizione di improcedibilità.
Infatti, partendo dalla fattispecie analizzata, la Suprema Corte, in caso di mancato esperimento della procedura obbligatoria di conciliazione, propende per la condizione di improcedibilità perché, contrariamente alla condizione di improponibilità, vengono meglio contemperate le finalità deflattive perseguite dalla procedura di conciliazione con i principi costituzionali posti a difesa della ragionevolezza stessa della previsione (articoli 3, 24 e 111 della Cost.). Ne consegue, dunque, che la parte che inizia un giudizio, senza avere preventivamente avviato la procedura di conciliazione obbligatoria prevista nel caso specifico, non sarà costretta a subire una condanna di improponibilità e a dover avviare un nuovo giudizio (con ogni negativa conseguenza anche economica), ma, a seguito di eccezione di parte o rilevabile d’ufficio, potrà avviare la procedura di conciliazione entro i termini assegnati dal giudice, facendo proseguire il giudizio già in corso. Si realizza così una corretta sintesi fra l’esigenza di non vanificare la prescrizione dell’obbligo di preventiva conciliazione con quella di evitare diseconomie processuali e di non incidere in misura troppo grave sul diritto di azione garantito dall’art. 24 Cost..
L’iter logico argomentativo della Suprema Corte, seppur inerente una disputa in materia di telecomunicazioni, pone finalmente una pietra miliare, chiarendo la differenza tra improcedibilità ed improponibilità e le conseguenze per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatoria, con argomentazioni valide anche per gli ulteriori ambiti che prevedono condizioni di procedibilità.
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