Volendo subito dare una risposta alla nostra domanda, dobbiamo precisare che le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 28972/2020 del 17 dicembre 2020, hanno dato una risposta negativa, affermando il seguente principio di diritto: “La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. “diritto reale di uso esclusivo” su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune, sancito dall’art. 1102 c.c., è preclusa dal principio, insito nel sistema codicistico, del numerus clausus dei diritti reali e della tipicità di essi.”
Prima, tuttavia, di analizzare la questione dal punto di vista giuridico, occorre evidenziare che la vicenda da cui è scaturita la questione deriva dalla divisione, da parte di tre sorelle (che erano comproprietarie), di un edificio composto da tre unità ad uso commerciale e da tre unità abitative, con un cortile retrostante e un’area antistante ai negozi.
Ciascuna sorella divenne, pertanto, titolare di un appartamento e di un negozio, ma solo una di esse, con apposito accordo, ottenne l’uso esclusivo della porzione del cortile antistante al locale commerciale.
Quest’ultima sorella alienò ad un terzo l’appartamento e l’unità negoziale, con l’uso esclusivo del cortile.
Anche le altre due sorelle alienarono i loro beni a terzi i quali, non potendo usufruire del cortile e ritenendo che il complesso immobiliare costituiva un condominio e che il cortile era pertanto un bene comune a tutti i comunisti, convennero in giudizio l’altro proprietario che vantava l’uso esclusivo del cortile. Quest’ultimo si difese, sostenendo di godere dell’uso esclusivo in forza del titolo, o per usucapione della relativa servitù, o per il diritto d’uso ai sensi dell’art. 1021 c.c..
In primo grado vennero rigettate le domande di tutte le parti ma la Corte d’Appello ritenne legittimo il diritto d’uso esclusivo del cortile, in quanto voluto, in origine, da tutti i condomini (ossia dalle tre sorelle, originariamente comproprietarie di tutto il complesso). A seguito della proposizione del ricorso per Cassazione, la vicenda è stata rimessa alle Sezioni Unite in quanto, sul punto, vi erano due orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
Un primo orientamento del 2017 (Cass. 24301/2017), ritiene che il diritto di uso esclusivo di un bene comune, come un cortile, non possa ricondursi al diritto reale d’uso (ex art. 1021 c.c.) ma la pattuizione di uso esclusivo, secondo tale interpretazione, costituisce una deroga all’art. 1102 c.c. – che stabilisce l’uso paritario da parte di tutti i comproprietari – e, in quanto tale, il diritto è cedibile a terzi, divenendo perpetuo e trasferibile (mentre il diritto d’uso è incedibile e limitato nel tempo). In tal modo, il diritto di uso esclusivo viene collegato non già ad un soggetto, ma ad una porzione di proprietà individuale.
Viceversa una recente pronuncia del 2020 (Cass. 193/2020) ha statuito che non può ipotizzarsi la costituzione di un uso reale atipico, esclusivo e perpetuo, che priverebbe del tutto di utilità la proprietà e darebbe vita a un diritto reale incompatibile con l'ordinamento.
L’assenza, dunque, di precise soluzioni circa la possibilità di armonizzare l’uso esclusivo del bene comune con la regola generale dettata dall’art. 1102 c.c., ha imposto l’intervento delle Sezioni Unite.
La Suprema Corte a Sezioni Unite, invero, partendo da una elaborata analisi dei predetti precedenti giurisprudenziali della Corte stessa, non indica esattamente in quale figura inquadrare il diritto di uso esclusivo di un bene comune, ma precisa cosa non è.
Ed infatti secondo la Suprema Corte il diritto di uso esclusivo:
- non è una servitù, in quanto la servitù consiste nel peso imposto su un fondo a vantaggio di un altro e, quindi, una restrizione delle facoltà di godimento del fondo servente, cosa questa che, nel caso di specie, non si potrebbe verificare in quanto la restrizione del fondo servente implicherebbe il completo non godimento dello stesso;
- non è un’obbligazione propter rem o un onere reale in quanto, come precisa la Suprema Corte, tali obbligazioni non possono avere un'applicazione generale e illimitata, ma sono ammissibili soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge;
- non è un diritto reale atipico in quanto i diritti reali sono a numero chiuso e non possono trovare fondamento nella volontà contrattuale. Inoltre, un diritto reale atipico non è neanche trascrivibile.
La Suprema Corte evidenzia, altresì, che il diritto d’uso esclusivo non trova fondamento in alcuno dei seguenti articoli: 1120, 1122 e 1126 (che limita l’uso esclusivo al lastrico solare) ma nasce da una diffusa prassi negoziale, in particolare notarile, con la quale si concede ad una singola unità immobiliare l’uso esclusivo di un’area, evitando, quindi, di trasferire la proprietà e, conseguentemente, superando problematiche per lo più di natura catastale.
La Suprema Corte conclude, dunque, affermando il principio di diritto secondo cui “La pattuizione avente ad oggetto la creazione del c.d. diritto reale di uso esclusivo su una porzione di cortile condominiale, costituente come tale parte comune dell’edificio, mirando alla creazione di una figura atipica di diritto reale limitato, tale da incidere, privandolo di concreto contenuto, sul nucleo essenziale del diritto dei condomini di uso paritario della cosa comune sancito dall’art. 1102 c.c. è preclusa dal principio, insito nel nostro sistema codicistico, del numerus cluasus dei diritti reali e della tipicità di essi.”
La Suprema Corte, tuttavia, precisa anche che “È sempre fatta salva la possibilità per il legislatore di dare vita a nuove figure di diritti reali, ma in difetto di intervento in tal senso, occorre verificare, per i titoli negoziali che già hanno contemplato simile costituzione, la vera volontà delle parti, o, in ultima analisi, la possibilità di conversione del contratto, ex art. 1424 c.c., in altro avente ad oggetto, alternativamente, la concessione di un diritto reale d’uso ex art. 1021 c.c. oppure di un diritto di uso esclusivo perpetuo (inter partes) di natura obbligatoria”.
Dall’esame della sentenza n. 28972/2020 del 17 dicembre 2020 delle Sezioni Unite, si evince dunque che la Suprema Corte non ha indicato l’istituto giuridico nel quale fare ricadere il diritto d’uso esclusivo di un bene comune ed ha lasciato all’interpretazione del Giudicante l’effettiva volontà contrattuale delle parti.
Ciò non di meno, la sentenza in argomento, in tutto il panorama giuridico, funge da pietra miliare in quanto precisa che, in ogni caso, il diritto di uso esclusivo di un bene comune non rientra tra i diritti reali e ciò, a parere di chi scrive, comporta rilevanti conseguenze in quanto vengono meno tutti quegli elementi favorevoli, tipici dei diritti reali, in termini di trasmissibilità, certezza e tutela del diritto.
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