La diffusione di internet ha reso, indubbiamente, più difficoltosa la tutela del diritto d’autore. La diffusione capillare di opere, foto e articoli nella rete, è indubbiamente diventata una sfida per la tutela effettiva del diritto d’autore.
Se, sul piano fattuale, sono sorte molte piattaforme che offrono servizi per il tracciamento delle proprie opere nel web, sul piano legislativo l’impegno degli Stati, soprattutto a livello europeo, è stato diretto verso un approccio unitario, nella consapevolezza che l’effettività della tutela del diritto d’autore “telematico”, non può prescindere dall’ armonizzazione delle legislazioni interne.
Un particolare “bene digitale” di cui si è molto discusso, è il software, che ha visto contrapposte vedute dottrinarie inconciliabili: da una parte, i sostenitori della ricerca di una idonea tutela del diritto d’autore del softwarista, dall’altra, i sostenitori del software libero, a disposizione di tutti.
Al fine di comprendere i connotati della disputa, è necessaria una premessa di tipo tecnico.
Il software è definito come un set di informazioni che danno esecuzione ad un programma per elaboratore e si compone di due elementi: 1) il codice sorgente, che individua le predette informazioni in maniera intellegibile per l’uomo; 2) il codice oggetto, ovvero la traduzione, in linguaggio computazionale, del codice sorgente, in modo che quest’ultimo sia intellegibile per l’elaboratore.
Tanto il codice sorgente quanto il codice oggetto trovano ampia tutela, a livello nazionale e internazionale, nell’ambito delle norme in materia di diritto d’autore.
A livello internazionale, il diritto d’autore trova tutela nella Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, sottoscritta a Berna nel 1886, che costituisce il primo antecedente storico di accordo tra nazioni per il riconoscimento reciproco del diritto d'autore.
Il software non è stato tutelato all’interno della summenzionata Convenzione del 1886, ma il progredire tecnologico e la diffusione capillare di software, equiparabili ad opere dell’ingegno che si diffondono capillarmente nella rete, senza giurisdizioni o territori, ha reso necessario un accordo che colmasse tale lacuna.
A tal fine, l’Accordo del 1994, relativo agli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights – TRIPS) ha esteso a “i programmi per elaboratore, in codice sorgente o in codice oggetto” la tutela riservata alle opere letterarie dalla Convenzione di Berna, inserendo il software all’interno del novero dei beni tutelati ai sensi dell’articolo 2 della Convenzione.
Sul fronte comunitario, la prima direttiva europea, sulla tutela giuridica del software, risale al 1991 (Direttiva 91/250/CEE), successivamente sostituita dalla Direttiva 2009/24/CE, attualmente in vigore, con cui il software è stato assimilato alle opere letterarie di cui alla Convenzione di Berna, con conseguente applicazione della disciplina in materia di diritto d’autore.
A livello interno, la tutela del diritto d’autore è affidata alla L. n. 633/1941 che, all’art. 2, comma 8, estende l’ambito di tutela a “i programmi per elaboratore, in qualsiasi forma espressi purché originali quale risultato di creazione intellettuale dell'autore”.
Pertanto, un punto comune delle normative succitate è la tutela sia del codice sorgente che del codice oggetto. A ben vedere, però, la tutela apprestata non si estende all’idea sottesa al software, vale a dire, viene tutelata la modalità in cui il software viene posto in esecuzione, ma non la funzionalità che quel software riveste e che costituisce il nucleo dell’idea.
Tale limite ha dato luogo ad un dibattito in dottrina finalizzato alla affannosa ricerca di un appiglio legislativo per vincolare l’idea legata alla funzionalità del software.
Se tale limite, tuttavia, può apparire una compressione del diritto d’autore, una più approfondita riflessione permette di rilevare che tale limite è fondamentale allo sviluppo delle tecnologie.
Infatti, a differenza di opere letterarie e musicali, il software svolge una funzione non di mera diffusione di cultura, ma di supporto allo sviluppo delle attività umane. Basti considerare che le tecnologia si sviluppa molto più velocemente di qualsiasi altro ambito culturale e, al pari di ogni altra scienza, necessita del confronto critico per potersi evolvere. Vincolare al diritto di proprietà l’idea sottesa al software, costituirebbe un inutile limite all’evoluzione tecnologica. Infatti, se il primo ideatore di un programma per la scrittura avesse potuto vincolare e tutelare la propria idea, non ci sarebbero stati ulteriori e più evoluti sistemi di scrittura. Quello che realmente distingue il software da un’opera letteraria, musicale, o di cultura in genere, è lo scopo più alto per cui viene ideato: il supporto e lo sviluppo dell’attività umana. Non possono esserci dubbi, soprattutto alla luce dello stato emergenziale causato dal Covid-19, che la tecnologia è ormai strettamente connessa all’attività umana e che lo sviluppo esponenziale delle nuove tecnologie si fonda proprio sulla libertà delle idee.
L’esempio più noto al riguardo è proprio la Blockchain, creata nel 2008 da Satoshi Nakamoto, con sorgente open source, quindi visionabile a tutti, che ha permesso l’implementazione di numerosissime piattaforme Blockchain che stanno rivoluzionando molti settori dell’attività umana.
Queste riflessioni rendono comprensibile la prospettiva di quanti negli anni hanno sostenuto la necessità di non vincolare i software al diritto d’autore, ma di renderli liberi ed accessibili a tutti.
Tra i sostenitori del “software libero” si deve ricordare Richard Stallman, secondo il quale
“il desiderio di una ricompensa per la propria creatività non giustifica il privare il mondo nel suo insieme di tutta o parte di questa creatività”.
L’idea espressa dal movimento del software libero appare ai molti irrealizzabile e lesiva del diritto di proprietà degli sviluppatori dei software, in quanto non è ancora pienamente riconosciuta l’importanza della tecnologia, che non è solo uno strumento di supporto dell’attività umana, ma un vero e proprio mezzo per l’evoluzione della società.
Lo svilupparsi di nuove tecnologie sempre più disruptive, capaci di rivoluzionare le attività e i limiti dell’essere umano, sta conducendo verso la piena consapevolezza che la tecnologia è, al pari di scienze come la medicina, fondamentale per l’evoluzione umana e, quindi, limitarne la diffusione è controproducente.
L’elasticità dei diritti, intesa come comprimibilità degli stessi, si aggancia alla fruibilità per la massa, vale a dire, un diritto è tanto più limitato nei confronti del singolo quanto più costituisce un vantaggio per la collettività intera, così che la ricchezza del singolo non si traduca in detrimento per la collettività. In definitiva, lo sviluppo delle tecnologie porterà inevitabilmente alla valutazione secondo cui lo sviluppo delle stesse costituisce un diritto fondamentale della collettività, un diritto a vantaggio del quale la limitazione della tutela del diritto di proprietà del software sarà un punto d’arrivo imprescindibile al fine di garantire lo sviluppo della società.
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